Rosa Mundi, pseudonimo di Chiara Modìca Donà dalle Rose, è un’artista multidisciplinare e filantropa protagonista di esposizioni internazionali.
Ricordiamo, solo per citarne alcune, la Biennale di Venezia, Helsinki, Durazzo, Dakar e Cipro, dove ha ricevuto un award prestigioso nel 2023.
Mundi è presente in collezioni pubbliche e private di spicco, come la Moleskine Foundation, la Fondation Leopold Senghor e il Museo di Arte Contemporanea della Regione Sicilia e la Fondazione Orestiadi.
È fondatrice del movimento del neo-spazialismo che si immerge nell’infinitamente piccolo, una sorta di “non spazio”, fuori dal tempo tra arte, filosofia e scienza.
È anche fondatrice della Bias, la prima ed unica biennale al mondo in cui gli artisti sono divisi per spiritualità e non nazionalità, riprendendo i canoni di Kandinsky.
Questa sua grandissima versatilità, che le ha permesso negli anni di esplorare e approfondire l’Arte nelle sue diverse espressioni, ci ha affascinato e guidato sino a lei.
Rosa Mundi, cosa caratterizza, secondo lei, il suo stile e il suo approccio artistico tanto da renderlo originale rispetto al panorama internazionale?
I tratti biografici
“Sono un’artista che ha attinto sempre dalla sua esperienza di vita personale che prescinde dalla propria immagine, come lo testimonia anche il trincerarsi dietro uno pseudonimo.
La mia arte è un susseguirsi di ponti tra la mia esperienza quotidiana lavorativa professionale e personale e quella artistica.
Approccio filosofico e a-materico
La particolarità della mia ricerca è un approccio fortemente filosofico e allo stesso tempo a-materico, in cui l’essenza di un concetto prende forma nelle trasparenze di un gesto artistico fortemente simbolico e neo-spaziale.
Il riciclo
Da oltre un trentennio prediligo materiale comune che, riciclandolo, trasformo in tela, che sia materiale vegetale o animale marino, come i pigmenti ricavati dalle meduse, o il ferro vecchio, il vetro o la plastica o il marmo e la pietra, ecco tutto per me può rivivere ed essere reinterpretato con un gesto artistico.
Sintesi tra concetto, materia ed estetica
Fondamentale nella mia visione dell’arte è il connubio tra concetto, materia ed estetica.
L’opera deve avere una sua aurea autonoma ma deve anche poter dialogare con qualsiasi luogo, un giardino pubblico, le nicchie di un museo, le finestre di un loft, i portici di un viale.
Le mie opere trattengono e sprigionano luce nel loro essere liquide, nel loro tentativo di trattenere un non spazio concettuale e filosofico, per restituire all’osservatore la forza di un’idea.
Per questo sono particolarmente controcorrente, non utilizzo infatti gli infiniti strumenti mediatici che oggi la tecnologia ed i social media offrono per amplificare la propria immagine.
Preferisco concentrarmi sull’emozione che le opere d’arte possono dare e nelle mie voglio trasmettere il senso di infinito dei diversi sguardi che sulla medesima opera possono generarsi.
Anche per questo amo molto condividere la mia ricerca personale con i miei amici artisti e non, ed amplificare la forza delle mie opere nei loro occhi.
In questi tre decenni ho sperimentato la pittura, la fotografia, la scultura, il teatro, la cinepresa e l’arte performativa sempre fedele alla mia visione neo-spazialista.
Ma una delle mie caratteristiche in particolare è la spiritualità che nel creare ricerco e riproduco in chiave artistica.
È un po’ come una missione che sento forte.
L’intuizione come l’atto di creare un’opera d’arte mi avvicina alla parte più intima di me e mi fa sentire più vicina al cuore della terra, dando un senso al caos calmo che è il silenzio della propria anima”.

Da cosa prende spunto e come si innesca il processo creativo di Rosa Mundi?
“La matrice delle mie opere è spesso di natura filosofica e prende spunto sia dalla storia passata che da quella che stiamo vivendo, ma spesso anche da una proiezione futura.
Vedo e guardo quello che accade e lo rielaboro, trattenendo nelle mie pareti, spesso trasparenti, un infinito numero di frangenti, frazioni temporali che si portano con sé anche una loro spazialità transeunte.
Il non luogo
Le mie opere sono una serie di concetti spaziali infiniti, ove nell’infinitamente piccolo, impercettibile e in parte visibile tra le ombre riflesse, una sull’altra dei miei disegni, delle mie tempere o delle mie foto, rappresento un non luogo, sospeso tra un’idea ed un numero imprecisato di possibili immagini.
Nella mia ricerca è molto importante lo studio della genesi di una storia, di un’idea, di un’azione.
Questa parte della storia, antecedente al gesto artistico, diventa parte del mio racconto e lo spettatore, con il suo sguardo, entra nel mio teatro del mondo.
Il neo-spazialismo
Trent’anni fa scrissi il mio manifesto personale su quelle che erano e sono tutt’ora le mie linee guida del neo-spazialismo di Rosa Mundi.
I punti cardine sono proprio la potenziale proiezione dello sguardo dell’osservatore sulle diverse forme e sagome che svelo, senza mai renderle nitide.
Per me l’infinito non risiede nell’immaginario mondo dietro uno squarcio o un foro alla parete, ma all’interno di uno spazio.
Evidenzio come un “mattone” d’aria trasparente, apparentemente fatta di nulla, sia denso di ricordi, immagini, movimento, idee, pensiero, vita.
Nelle mie opere nascondo nelle lingue più disparate dei messaggi-ponti tra passato e futuro sul senso di quella specifica opera, in una visione atemporale.
Nuove connessioni con vecchi oggetti
Da un’antica botte di legno, mezza rotta e fracassata dall’abbandono, estraggo i ferri e i legni dal sapore di mosto selvatico.
Poi gli ridò vita, spesso nelle mie sfere armillari che, come nuove galassie terrestri, sembrano voler creare un collegamento con l’universo e dimensioni ben oltre i buchi neri.
Ma mi capita di vedere una storia nel magma pietrificato di un albero e di fossili dentro un pezzo di marmo.
Ogni opera ha una sua storia, anzi le sue storie.
Con il mio gesto artistico voglio raccontare, come un libro che si sfoglia e si lascia leggere.
Solo che nel mio libro le parole, le frasi sono le immagini e la luce che da ogni parte si sprigionano”.
Al centro della sua ricerca artistica c’è anche un profondo rispetto per l’ambiente e una visione sostenibile della creazione artistica.
Come tutto questo trova corrispondenze e applicazioni nelle sue opere?
“I miei studi, tra diritto, arte e tutela dell’ambiente hanno trovato la loro massima espressione tattile proprio nelle mie opere. Il riciclo è da oltre un trentennio al centro del mio lavoro.
Recupero materiali usati, vecchi e dimenticati da tutti.
Immaginare una seconda vita, in cui la loro estetica prende nuove forme, è non solo una grande sfida ma un gioco particolarmente divertente.
Trasformo il vetro e la plastica in tela; le verdure, la frutta, i sassi e le meduse le uso a volte come pigmenti dei miei colori.
Ma una delle cose più pazze che ho fatto è trasformare un tavolino rotto, senza una gamba, in un clavicembalo.
Le sue corde sono rappresentate dai filamenti di bionde meduse che emergono dal mare”.

Qual è stata l’esperienza professionale che l’ha più gratificata?
Biennale di Cipro del 2023
“Tutte le esperienze che ho fatto hanno lasciato un forte segno nella mia crescita come artista, ma quella che più mi ha gratificato è stata la Biennale di Cipro nel 2023.
Allestire le mie opere nel castello dei templari, sulle sponde del mare di Larnaca, tra le mura costruite dalla Serenissima Repubblica di Venezia, in una specie di altare con i bassorilievi dei sarcofaghi dei padri templari, ha dato una grande forza narrativa alle mie opere che ha contribuito alla mia vittoria e all’ottenimento dell’award.
Biennale de Il Cairo del 2016
Ma ricordo, anche, con grande emozione la Biennale de Il Cairo “Cairotronic” nel 2016 che fu organizzata dentro l’università americana con artisti da ogni dove.
Dalla capitale dell’Egitto partii per il Sinai in corriera, trascinandomi 4 artisti che ebbero fiducia in me.
Andammo sulle sponde di Nuweba e lì, davanti al Mar Rosso, realizzammo delle opere perfettamente integrate con la natura e la comunità beduina che ci accolse con un calore che ancora oggi mi commuove.
Queste due esperienze mi hanno insegnato molto e hanno sprigionato una forza interiore che è parte dell’artista che oggi sento di essere.
L’esperienza in Giappone
Sono appena tornata dal Giappone dove, ad Osaka, grazie all’ex Console Generale Marco Prencipe ed al curatore Roberto Bilotti, ho esposto le mie opere e tenuto una approfondita conferenza sulla mia arte e le mie tecniche artistiche.
Vi ritornerò con l’attuale Console Generale Filippo Manara e il Commissario del Padiglione Italia per l’Expo 2025, l’Ambasciatore Mario Vattani.
Qui ho provato delle emozioni e delle esperienze veramente nuove.
Ho visitato con attenzione Kyoto e i dintorni con degli amici giapponesi, un monaco buddista che ha studiato diritto come me e con sua moglie, scrittrice e traduttrice.
Con loro ho iniziato a indagare la mia parte orientale, sì perché mi sono resa conto di avere veramente tanto in linea con il loro modo di pensare e di generare idee ed emozioni.
Sono partita con uno spirito un po’ turistico, e sono tornata con un albero di pesco in fiore tra le mie mani.
Nelle pupille dei miei occhi mi hanno proprio stregato e credo che questo potrà riscontrarlo solo nelle mie opere future (mi sono già messa all’opera).
In particolare, mi ha colpito questo senso di precarietà e di tragedia, misto a pacata calma, legato all’incombere di terremoti, maremoti, incendi”.

Recentemente il suo corpus di opere “Umanità in viaggio” è stato ospitato in Giappone presso il Conrad Osaka.
In cosa consistono queste sue ultime creazioni e cosa ha rappresentato per lei poterle esporre in una location così prestigiosa?
“È stato un crescendo.
Sono partita per il Giappone carica di entusiasmo e curiosità, ma tutto ha superato ogni mia aspettativa.
Dopo avere gironzolato in lungo e in largo, il 31 gennaio ho esposto le mie opere al 38esimo piano del grattacielo Conrad.
Ho anche tenuto una conferenza davanti a 170 selezionatissimi invitati del mondo dell’arte.
Erano presenti direttori di musei, collezionisti, industriali, giornalisti, curatori e diplomatici, tutti ospiti del Consolato Generale Italiano.
È stato un vero onore per me e una grande, grandissima emozione.
L’opera “Europosaurus”
Sono partita con 7 delle mie 17 valigie tratte da un’opera molto più complessa, denominata “Europosaurus”.
Opera che, nel 2022, sotto la curatela di Angela Vettese e James Putnam, è stata presentata alla Biennale Arte di Venezia.
L’installazione era originariamente composta da 14 valigie in vetro e plastica riciclata dal Mare Mediterraneo, dipinte con tempera vegetale e pigmenti organici marini ricavati anche utilizzando resti essiccati di meduse.
Nelle altre 3 valigie, scolpite sul marmo, vi sono immagini e dimensioni tutte differenti.
In particolare, ogni valigia ha una doppia faccia che ritrae un’immagine iconica di un’Era della storia dell’uomo, ripercorrendola a tappe.
Nel complesso l’opera formava la grande sagoma dello scheletro di un dinosauro veramente esistito, l’Europosaurus.
Ogni piccola sfera armillare, posizionata in corrispondenza di ogni valigia, simula un disco della colonna vertebrale.
Ogni anello è una tappa della storia dell’uomo, nella sua spiccata visione antropocentrica.
Si parte dall’ominide in marmo con inserti fossili, quando l’uomo era perfettamente allineato con il cosmo, sentendosi un tutt’uno con esso.
La sua sfera armillare che simula il movimento di un Nautilus che accelera la concentrazione della materia nel buco nero.

Il corpus di opere “Umanità in viaggio”
Questo percorso installativo, denominato “Umanità in viaggio” dal curatore Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, si concentra in particolare su sette opere, le “valigie diplomatiche”.
La loro forte componente italica rappresenta non solo un’Era, ma un momento storico in cui il genio italiano ha lasciato una particolare traccia.
Il genio italico riempie quella valigia di scoperte e passaggi cruciali della vita umana.
Facendosi simbolo del bagaglio culturale e storico dell’uomo, le sette valigie sono un viaggio nella storia dell’umanità e del genio italiano.
Dall’Ominide all’Homo Digital
Ominide è una valigia in marmo nero con fossili che celebra l’armonia originaria dell’uomo con l’universo.
Homo Sapiens è la rappresentazione dell’uomo che scopre il fuoco e dà avvio alla sua necessaria relazione con la tecnologia.
Homo Vitruviano è un omaggio a Leonardo da Vinci, al Rinascimento e all’umanesimo italiano, dove il corpo umano era ancora la misura dell’universo.
Homo Gutenberg è il racconto della rivoluzione della stampa che ha democratizzato il sapere, celebrando Venezia come capitale editoriale.
Homo Electricus è dedicata alla scoperta dell’elettricità e alle sue applicazioni, da Alessandro Volta in poi.
Homo Ubiquity rappresenta una riflessione sull’era delle telecomunicazioni, da Meucci a Marconi, con uno sguardo alle eccellenze italiane nel campo dell’innovazione.
Homo Digital racchiude il racconto della moltiplicazione dell’identità umana nell’era del cyberspazio e dell’intelligenza artificiale.

L’omaggio a Pinocchio in connessione con l’IA
Pinocchio 2000: A.I. reinterpreta l’emblematico burattino di Collodi come simbolo dell’intelligenza artificiale, dove la lotta tra la verità e la menzogna si trasforma nell’era delle macchine, con un design bifronte e dettagli matematici ispirati al teorema di Bayes”.
Cos’è importante per lei trasferire dal punto di vista emozionale attraverso le sue opere?
“Emozionare, fare riflettere, lasciare un segno attraverso l’inizio di un dialogo a tratti filosofico, a tratti estetico e, a volte, psicologico”.

Cosa in generale l’affascina di più del mondo dell’Arte e cosa al contrario la respinge?
“I pittori del Quattrocento, del Cinquecento, i loro colori, le forme e la plasticità dei loro modelli, la forza di un messaggio che passa attraverso un’immagine e la scelta dei dettagli.
Mentre quello che non amo molto è il circo mediatico di chi confonde l’arte con il numero di follower.
Ecco tutto ciò che respingo con forza, come anche la deriva che sta prendendo il mercato dell’arte mosso da interessi propri solo alle gallerie. Respingo l’asserita mancanza di vero mecenatismo, di naturale decantazione di un rapporto sano, senza intermediari, tra committente e maestro”.
Tra le sue diverse attività nel campo delle arti ha potuto collaborare anche alle scenografie e agli allestimenti di numerosi spettacoli teatrali e opere cinematografiche.
Cosa ha portato di suo nello specifico in termini di resa, c’è un elemento ricorrente?
E in quale di queste opere pensa di essersi potuta esprimere al meglio rispecchiando di più la sua idea di arte?
“La mia visione trasversale, tra arte, musica e scenografia, è dentro le mie opere, ogni scatola della serie “the box” è una storia, è una melodia.
Nella regia, nella coreografia e perfino nella scenografia mi sento completa, avverto il superamento dei limiti materici di un’opera.
Un’opera rispecchia bene la mia idea dell’arte ed è “la chiave dell’ultima cena”, in cui l’intera immagine sembra una polaroid interamente rossa, come il sangue di Cristo e dell’umanità ed il volto di Giuda è l’unico girato di spalle.
Inoltre, la sua testa è sostituita da un specchio in cui tutti i visitatori, volenti o nolenti, entrano nella scena”.
Cos’è per lei il lusso?
“Il tempo, avere tempo per fare tutto quello che nel corso di una giornata vorrei fare e che cerco disperatamente, con il sorriso s’intende, di fare.
Ma per avere tempo ci vogliono salute, serenità, pienezza del passato e radioso sguardo verso il futuro.
Il più grande lusso che posso avere e voglio avere è guardare ad ogni nuovo giorno con la fame di chi vuole mordere la vita e non lasciarsi scappare neanche un sapore, di chi vuole riempire ogni più piccolo angolo del suo “stomaco” per poi digerire e tramutare tutto in ricordi, poi in pensieri, poi riflessioni e poi di nuovo idee, arte, ingegno.
Il lusso è anche avere tempo di vivere con la propria famiglia e con i propri amici, saperli anche scegliere al di là delle false chimere”.
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