I lavoratori specializzati sono sempre più introvabili: lo confermano i dati pubblicati da Unioncamere e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2024 ammonta al 47,8% la difficoltà di reperire personale, in aumento del 2,7% rispetto al 2023.
Tra le regioni, le più in difficoltà sono Veneto, Umbria e Friuli-Venezia Giulia con il 65% circa di lavoratori introvabili, seguono Trentino-Alto Adige con 62,7%, Piemonte – Valle d’Aosta, Toscana ed Emilia-Romagna, con il 61,7% e la Lombardia con 61,2%.
A pesare su questa carenza il mismatch tra scuola e lavoro, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione, ma anche il cosiddetto paradosso del “grande spreco” rappresentato dai giovani inattivi, che riguarda un quarto dei giovani tra 25 e 34 anni.
Abbiamo chiesto un commento all’imprenditrice piemontese Paola Veglio, attiva nel mondo dell’automazione industriale, e che da anni denuncia la difficoltà di trovare giovani lavoratori. Nel suo caso, il problema è acuito dalla particolare dislocazione geografica in cui ha sede la sua azienda: il piccolo borgo di Cortemilia, nell’Alta Langa, lontano dai servizi offerti dalle grandi città.

Quali sono a suo avviso le cause di questa difficolta a trovare personale?
“Impazzire per trovare lavoratori qualificati è un lusso che il nostro Paese non si può proprio permettere. Penso che sia sempre più importante che tra scuola e tessuto imprenditoriale ci sia maggior vicinanza, in modo che i giovani possano toccare con mano cosa significhi lavorare in azienda. I percorsi di stage o l’alternanza scuola lavoro sono utili ma non sufficienti. Dovrebbe esserci una maggior presenza fisica dei ragazzi sul luogo di lavoro, per capire cosa si faccia realmente, in modo che una volta preso il diploma possano avere le idee più chiare su ciò che vorranno fare. Sto lavorando concretamente per ridurre questo gap, costruendo un dialogo produttivo con le scuole tecniche del territorio. Spero che quante più aziende vorranno fare altrettanto”.

Lei è molto attiva anche da un punto di vista del territorio, in che modo offre il suo contributo?
“La mia azienda vive un duplice problema, da un lato fatica a trovare personale qualificato, dall’altro i giovani sono poco inclini a lavorare nel piccolo borgo di Cortemilia. Per questo ho avviato diverse attività per renderlo più attrattivo, facendo coincidere le esigenze del welfare aziendale con quello territoriale. Mancava una mensa in azienda, ho riaperto un ristorante pizzeria chiuso da anni che ospita in pausa pranzo 60 dipendenti, ma accoglie anche i cittadini e i turisti. Grazie agli sforzi del comune, finalmente a Cortemilia è presente un asilo nido e Brovind paga la retta ai figli dei propri dipendenti”.

Nonostante gli sforzi, però, Brovind fatica a trovare personale. Da dove ripartire?
“Da qualche anno il mondo del lavoro è cambiato: prima erano le aziende a scegliere le persone, ora avviene il contrario. È sempre più difficile agganciare i giovani, perchè il loro modo di pensare è estremamente diverso dalle generazioni che li precedono; finchè non impareremo ad entrare nel loro modo di ragionare sarà difficile coinvolgerli. Penso ad esempio che una narrazione diversa del lavoro in fabbrica, oggi sempre più tecnologicamente sofisticato, potrebbe riqualificare l’immagine dell’operaio e risultare quindi più attrattiva. Il sistema Italia, purtroppo, non è di grande aiuto: mancano incentivi per assumere i giovani e dovrebbe essere nuovamente possibile partecipare agli stage estivi anche per i minorenni. Oggi i ragazzi hanno a disposizione solo l’esperienza di alternanza scuola-lavoro e spesso arrivano ai 18 anni completamente spaesati e senza avere la minima idea di come funzioni il mondo lavorativo. A tutto questo si aggiunge il costo del lavoro davvero proibitivo nel nostro Paese, che rende sempre più difficile fare impresa”.
Cosa si auspica per il futuro prossimo?
“Il paradosso di un’Italia che non trova lavoratori mentre i giovani restano ai margini dovrebbe farci riflettere: forse non sono loro a essere lontani dal lavoro, ma il lavoro a non parlare più la loro lingua. Se vogliamo che borghi storici come Cortemilia continuino a vivere, serve più coraggio nel ripensare il lavoro: renderlo accessibile, umano e connesso al futuro delle nuove generazioni, non al passato delle imprese”.