Artista trasversale, dalla tv al cinema e al doppiaggio, passando dai fumetti, dalla radio e dal teatro, Lillo, pseudonimo di Pasquale Petrolo, debutta nel mondo dello spettacolo nel 1991, quando fonda con Greg (alias Claudio Gregori) il gruppo rock demenziale Latte & i Suoi Derivati. Da quel momento ha raggiunto una grandissima popolarità che lo ha portato a frequentare assiduamente, in coppia e in solitario, tanto i palcoscenici quanto il piccolo e grande schermo, non ultima la performance nel film Tutta colpa del rock dove interpreta Bruno, un ex chitarrista rock in caduta libera: bugiardo, narcisista, padre assente, che finisce in carcere dopo una lunga serie di scelte sbagliate. Quando tutto sembra perduto, un’occasione inaspettata si presenta: formare una band con altri detenuti per partecipare al Roma Rock Contest. In palio, i soldi necessari per mantenere la promessa fatta alla figlia Tina: portarla in America per un leggendario “Rock Tour”.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo e ripercorrere con lui alcune delle tappe più significative del suo percorso. A fare da cornice l’esclusivo salotto delle Terme di Saturnia Natural SPA & Golf Resort, una delle suggestive location dell’ottava edizione del Saturnia Film Festival, laddove il comico è stato uno degli ospiti di punta della serata inaugurale.
Ha sempre voluto fare il comico e lavorare nel mondo dello spettacolo?
“Sono sempre stato un timido cronico. Poi crescendo il mio lavoro, l’esibirmi di fronte a un pubblico, ha contribuito a sbloccare certe situazioni e ad aprirmi. Molti colleghi che fanno il mio stesso mestiere già si esibivano da bambini, improvvisando piccoli spettacoli teatrali nel salotto di casa davanti ai propri familiari o prendendo parte a recite scolastiche. Io al contrario mi chiudevo in camera a giocare da solo con i soldatini, immaginando racconti e storie. Da ragazzino non ho mai pensato che avrei fatto questo mestiere. Ricordo che volevo a tutti i costi fare il fumettista. Ma la vita si sa gioca cattivi scherzi ed eccomi qua”.

Lei che della comicità ha fatto un mestiere e l’ha maneggiata in tutte le salse, c’è un limite oltre il quale questa non deve andare o si può ridere di tutto?
“Per quanto mi riguarda non esiste un limite e si può ridere assolutamente di tutto, perché non è un fatto di argomenti, bensì di classe, di stile e soprattutto della capacità di non essere volgari o insensibili quando si fa dell’umorismo su determinate tematiche. Si può trattare lo stesso identico argomento con intelligenza, con sagacia, con gusto, dove per quest’ultimo intendo anche l’originalità e il non cadere nel banale, nello scontato, nel vituperio fine a sé stesso. E questo vale per tutto, pure per il tema più scottante, difficile e politicamente scorretto”.
Nella sua carriera si è mai dovuto scontrare con la censura?
“Insieme a Greg ci siamo creati un’isola felice con la radio. Lì non abbiamo mai avuto nessun problema perché c’è molta meno censura che in televisione. Un amico e collega che stimo e amo tantissimo come Corrado Guzzanti è sicuramente più a rischio rispetto a noi perché la sua, alla pari di quella di Crozza, è una comicità che attacca in maniera diretta e senza filtri i personaggi pubblici, spesso rappresentanti delle istituzioni, che di volta in volta vengono imitati. Il ché li espone a un pericolo maggiore di censura a differenza nostra che facciamo una satira più legata al malcostume. Quella mia e di Greg è una satira sociale e non politica, quindi per noi è più difficile essere censurati, perché non tocchiamo dei temi che possono risultare offensivi per nessuno. Il nostro è più semplicemente un racconto di quello che ci accade attorno in chiave comica. In generali grossi problemi di censura per fortuna non ne abbiamo mai avuti”.
Cosa si aspettano gli spettatori da Lillo?
“Al cinema credo che si aspettino quando faccio commedia di divertirsi, ma anche di seguire una storia, perché in un film è importante che il racconto e i personaggi funzionino. A teatro invece si aspettano di ridere e per fortuna ridono, perché con Greg facciamo prevalentemente degli sketch. E finché ridono va tutto bene. Quindi quando sono su un palcoscenico faccio molta attenzione alla quantità di risate che devo procurare”.
Del sodalizio con Greg cosa pensa che rimarrà nel tempo? Tutte le coppie che entrano nella storia lasciano sempre qualcosa di diverso rispetto ai predecessori, secondo lei cosa lascerà in eredità il duo Lillo & Greg?
“Non lo so, ma mi piacerebbe che la gente, grazie alle tecnologie, abbia voglia in futuro di andarsi a rivedere i nostri sketch per ridere di gusto. A me spesso capita di andare su YouTube a riguardarmi ad esempio quelli di Paolo Panelli degli anni Sessanta per imparare ogni volta qualcosa di nuovo e per divertirmi. Mi auguro che ci sia sempre di più la possibilità per le nuove generazioni di poter scoprire o riscoprire i comici del passato. Quello che spero è che nel 2080, quando Lillo & Greg non ci saranno più da tanto tempo, un ragazzo o una ragazza di quel periodo abbia il desiderio e la possibilità di recuperare un nostro sketch e riguardandolo rida e si diverta. Mi basterebbe questo”.
Dove pensa che il duo si sia espresso al massimo?
“La radio è sicuramente un mezzo molto adatto alla nostra comicità surreale. Siccome noi facciamo delle cose assurde, tipo intervistare un extraterrestre, se lo fai in tv viene posticcio perché hai bisogno di mostralo, mentre in radio viene molto meglio poiché basta solo sentirlo e l’immaginazione farà il resto. Ma in generale le cose che funzionano in radio non è detto che funzionino a teatro o in televisione e viceversa. Per cui abbiamo imparato con l’esperienza a capire il linguaggio del singolo mezzo che decidiamo di volta in volta di utilizzare e in questo cerchiamo di ottenere e restituire il massimo della e dalla performance”.
Cosa pensa della nuova generazione di comici?
“Mi piacciano moltissimo le nuove leve in circolazione perché praticano quel tipo di comicità che ho sempre amato, ossia quella surreale, lunatica e un po’ assurda, che poi è la stessa che con Greg portiamo avanti già da diverso tempo. Mi viene in mente Valerio Lundini che conosciamo da tanti anni perché già quattordicenne veniva a vedere i nostri spettacoli ed era diventato una sorta di nostra mascotte. Per cui lo abbiamo visto crescere nel senso letterale del termine sia umanamente che professionalmente. E adesso è co-autore del nostro programma radiofonico su Rai Radio 2 dal titolo 610. In generale penso che ci sia una nuova generazione di comici davvero forte e promettente, nella quale figurano tra gli altri Edoardo Ferrario e Michela Giraud”.
Cinema, tv, teatro e radio. Come riesce a fare coesistere tutte queste anime nel suo essere artista?
“Perché fondamentalmente faccio una cosa sola, ossia l’intrattenitore comico e uso vari mezzi per farlo. Il teatro ha un linguaggio, la televisione e il cinema ne hanno un altro, la radio un altro ancora. I mezzi li impari strada facendo come ad esempio mi è successo con la radio. Si inizia con molta modestia: prima entri in un settore, cerchi di capire da chi è più bravo di te come funziona e una volta che l’hai capito poi utilizzi quello strumento per trasferire quello che sei. E lo stesso vale per qualsiasi altra forma espressiva”.
Come è nata la passione per il fumetto?
“Lo stesso discorso di prima è valido per il fumetto: sono un intrattenitore e uso più mezzi per intrattenere. Motivo per cui ho imparato e fatto mia quella forma d’arte. A quel punto ho iniziato a disegnare fumetti, però poi la strada mi ha portato a doverli abbandonare perché era sicuramente il più difficile da portare avanti tra tutti gli altri mezzi che frequentavo. La loro realizzazione richiede molto tempo, mentre uno sketch lo scrivi, lo provi, lo fai ed è finita lì. Un fumetto invece per essere pensato, scritto e disegnato necessita di una gestazione e di una tempistica maggiori che non potevo permettermi. Questo mi ha portato purtroppo ad accantonarlo, ma è stato il primo mezzo in assoluto che ho sperimentato e con il quale ho potuto raccontare delle storie. Il fumetto ti permette di farlo senza problemi, perché servono solo un foglio di carta e una matita. Non devi cercare produttori, tantomeno uno spazio e non devi avere a disposizione una troupe. Ho mosso i primi passi con il fumetto perché, a parte la grande passione che ho per questa forma d’arte, è sicuramente il mezzo più economico per iniziare a esprimersi”.
Cosa spera di trovare in un progetto al punto da accettare di prenderne parte?
“Nel momento che mi vedi accettare un progetto vuol dire che qualcosa di interessante l’ho già trovata. Ogni progetto però è fino a sé stesso, quindi si parte dal presupposto che delle volte sei sorpreso anche tu di quello ti trovi davanti. Può capitare di leggere una sceneggiatura o un copione e dire: «ah, questo personaggio è veramente geniale e originale, non avrei mai pensato di fare qualcosa del genere». Normalmente non faccio mai nulla se non sono stimolato. Il ché mi ha portato in passato a rifiutare delle proposte perché non mi ci ritrovavo dentro e non pensavo di poter dare qualcosa di mio alla causa. Bisogna essere onesti con sé stessi e con chi ti propone qualcosa se non sei convinto al 100% di quello che stai per andare a fare. A quel punto è meglio rinunciare. Le carriere si costruiscono anche con dei no. Diverso se i progetti nascono da me e da una mia idea come nel caso di Tutta colpa del rock, il film diretto da Andrea Jublin, nel quale oltre a recitare ho collaborato alla sceneggiatura. In quel caso volevamo fare molto più di una commedia, ma un omaggio sincero al potere salvifico, travolgente e identitario della musica. E lo volevamo ambientare in un carcere. Da questo desiderio ha preso poi forma la storia. Mi capita infatti di partecipare alla scrittura di gran parte dei progetti dove recito, indipendentemente che si tratti di cinema, teatro, televisione o programmi radiofonici”.
Quale o quali sono state le conquiste che ha ottenuto nel corso della sua carriera?
“Le conquiste sono un mattone alla volta, sono le cose che fai e che ti portano gradualmente a un risultato, per cui non c’è una conquista sola ma tante piccole che messe in fila mi hanno portato ad ottenere delle soddisfazioni e a raggiungere dei traguardi in questi anni. Io per carattere non mi pongo degli obiettivi ma vivo alla giornata. Non so cosa farò l’anno prossimo, non ne ho idea perché non sono solito progettare nulla. Non penso né di avere fatto tutto in maniera giusta, né in maniera sbagliata, semplicemente perché non faccio i conti, non mi metto di fronte allo specchio a giudicare il mio operato. L’unico mio vero obiettivo è quello di alzarmi la mattina ed essere contento di quello che sto per fare”.
E delusioni questo lavoro gliele ha mai date?
“L’unica risale a una decina di anni fa, quando mi hanno scelto per condurre la cerimonia dei David di Donatello. Non volevo farlo, perché non lo sentivo nelle mie corde, ma alla fine mi convinsero ad accettare. Io il conduttore di un premio non lo so fare e infatti non mi è piaciuta per niente come esperienza. Non a caso il risultato non è stato per nulla soddisfacente. La ricordo come la mia più grande delusione professionale e probabilmente lo è stata anche per chi me lo ha proposto a suo tempo”.
Quanto pesano e hanno pesato i risultati sulle scelte fatte nel corso della sua carriera?
“Il pensiero va ovviamente al pubblico, è inevitabile. Ma per me il lavoro non è mai stata una questione di vita o di morte. Faccio un mestiere che mi diverte e che diverte gli altri, quindi una volta che parte un progetto lo affronto con grandissima naturalezza come fosse un gioco. Sono convinto che se mi diverto io allora riesco a trasferirlo e a contagiare anche chi mi sta guardando. Sono uno di quelli che guarda relativamente al successo che può avere una cosa, perché vado fiero di tutto ciò ho fatto sino ad oggi. È la verità. Ho la fortuna – e questa è una fortuna – di cucirmi i progetti addosso e di sentirli miei. Negli ultimi anni ho lavorato con dei registi che mi hanno chiesto di costruire il personaggio insieme. Quindi non c’è mai un pentimento. Sai qual è il vero pentimento? Se io ti dico «non mi piace questa cosa» però ti costringono a farla, a quel punto se va male diventi matto. Se invece fai una cosa che hai scelto tu, anche se non c’è un successo straordinario, però sei sempre contento di averla fatta perché comunque sei te stesso”.
