Ha raggiunto la popolarità come componente insieme alla sorella Paola del duo femminile pop Paola & Chiara, attivo fino al 2013 e poi nuovamente dal 2023, oltre che come cantante solista,
ma Chiara Iezzi è stata e continua ad essere un’artista a 360°. Alla fortunata carriera musicale, la Iezzi ha infatti affiancato parallelamente anche altre attività come quella di scrittrice (autrice di un romanzo di genere young adult e di sceneggiature), pittrice e attrice televisiva e cinematografica.
Professionista di grande rigore, l’artista milanese si è rivelata nel corso degli anni un’interprete completa e versatile che ha saputo con credibilità e potenza espressiva, la stessa portata sul palcoscenico, vestire ruoli diversi sia per il piccolo che grande schermo. La ricordiamo in progetti come Alex&Co 2 della Disney, la terza stagione della serie Mare Fuori, per la quale riceve il prestigioso Filming Italy Award durante l’81esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, la sit-com Unlockdown e i film The Broken Key, Il ragazzo della Giudecca e The Solemn Vow. Recentemente è stata tra le protagoniste dello sport-drama dal titolo L’ultima sfida di Antonio Silvestre, presentato in concorso al 16° Bif&st. Ed è proprio a margine della proiezione della sua ultima fatica davanti la macchina da presa nei panni di Luna che abbiamo colto l’occasione per rivolgerle alcune domande su questa recente performance cinematografica e sulla sua carriera in generale.

Ci disegna l’identikit della Luna di L’ultima sfida? In cosa le assomiglia?
“Si tratta di un ruolo i cui aspetti non sono stati particolarmente sviluppati nell’arco narrativo dell’opera, ma ha comunque nel proprio DNA elementi molto interessanti da esplorare e approfondire. Il giorno è una mamma, una moglie e una donna di casa che si occupa del figlio e del marito, mentre la sera gestisce un locale notturno, un night club. È dunque una donna indipendente, che sa il fatto suo, strutturata e capace di stare in più ambiti. Anche se in passato mi è capitato di interpretare altri ruoli come madre, questo forse è quello che rispetto ai precedenti mi assomiglia un po’ di più sul piano caratteriale, perché come Luna mi considero una persona semplice nella vita quotidiana, ma che con delle sfumature diverse riesce comunque a uscire ed evadere da quella che chiamiamo ‘normalità’. Questo è un elemento che mi avvicina al personaggio che ho avuto modo di interpretare in L’ultima sfida”.
Questo è anche un film sulle vittorie e sulle sconfitte. Quale ritiene sia stata la sua più grande conquista fino adesso e quale la più grande delusione?
“Ogni percorso artistico credo, incluso il mio, è fatto di alti e bassi, nel senso che puoi avere successo, perderlo, riconquistarlo, quindi è una parabola che conosco, perché l’ho vissuta diverse volte. Non saprei dire qual è stato il periodo più complesso. Ogni periodo ha avuto le sue difficoltà, però sicuramente in quei momenti ho scoperto delle risorse personali che pensavo di non avere e ho imparato anche a chiedere aiuto, cosa che prima non ero in grado di fare. Cercavo di sobbarcarmi il tutto. Invece adesso ammetto magari di avere, quando mi capita, delle difficoltà. Mi piace aiutare e anche chiedere aiuto alle persone di cui mi fido. Prima ero più orgogliosa, non volevo farmi vedere vulnerabile. La trovo anche una cosa bella, poter in qualche modo esporre la propria vulnerabilità e chiedere aiuto quando è necessario, perché dai periodi complessi ci si può tirare su, ma non da soli. È più bello quando si condivide”.

La fama e la popolarità possono avere degli effetti collaterali. Come è riuscita a creare gli anticorpi necessari a non farsi fagocitare dal successo, dalle aspettative del pubblico e anche dalle sue di aspettative?
“Ho sempre istintivamente percepito che ci fosse una differenza sostanziale tra il lato pubblico e quello privato. Poi ovviamente ci sono stati dei momenti in cui ho dovuto imparare strada facendo dai miei errori e dalle esperienze, anche da quelle negative. In generale mi sono sempre affidata ai sogni che volevo realizzare e agli obiettivi che volevo raggiungere. Avendo sempre l’obiettivo ben presente, in qualche modo, le difficoltà ho cercato di ridimensionarle. Poi, essendo una persona creativa, ho molta immaginazione ed è ad essa che ho fatto e continuo a fare riferimento sia nella vita di tutti i giorni che nel percorso artistico. A volte le paure si sono amplificate molto, però con questa fantasia, con questa creatività, ho avuto modo di trovare delle soluzioni per scacciarle e tirarmene fuori. Sono riuscita a trovare la forza per riuscire sia ad alimentare il lato pubblico, che è parte di questo percorso, e anche dedicarmi a quella che è la sfera privata alla quale tengo in egual misura”.
Cosa è riuscita a portare della Chiara cantante nella Chiara attrice e viceversa?
“Per me l’arte in generale è un sistema di vasi comunicanti, motivo per cui vivo entrambe queste forme di espressione, vocazioni e passioni come l’estensione una dell’altra. C’è tra queste uno scambio continuo e reciproco di informazioni, tecniche ed emozioni. Sono senza alcun dubbio due mestieri con molte cose in comune, ma al contempo diversi. Sicuramente ciò che accomuna la recitazione alla musica è ad esempio il ritmo, il ritmo con cui dici una battuta. Non a caso, battuta è un termine musicale. E anche il ritmo con cui canti qualcosa, il valore delle pause, del tempo che ti prendi per dire una frase, per dire un qualcosa in una sceneggiatura, serve a trovare il tuo tempo e la tonalità. Quando riesci a dire bene una battuta, è perché in qualche modo sei riuscito ad ascoltare. Sia nella musica che nella recitazione l’ascolto è fondamentale. Quanto più sei in ascolto di quello che hai intorno, più riesci a capire la tridimensionalità di una scena e ad entrare in sintonia con gli altri attori. Questa sensorialità ti aiuta a dire nel momento giusto una parola e a fare una pausa quando è giusto farla. Dunque l’aspetto vocale è intrinseco. Sono ambiti differenti, però il senso è quello”.
E invece emotivamente attinge dalla stessa fonte?
“No. Nel lavoro attoriale interpreti altre persone ed è questo il bello. Il sentito con cui arrivi a determinate cose è completamente diverso, perché nello studiare un personaggio assumi dei tratti caratteriali e psicologici che non necessariamente fanno parte di te. Nella recitazione studi il comportamento, le movenze, l’aspetto psicologico, il non detto, tante cose e quindi si crea un microcosmo in cui tu sei il canale per esprimere la vita di un’altra persona. Mentre nella musica sono più io in prima persona”.

Da attrice le è mai capitato di giudicare un personaggio che le è stato affidato?
“Un attore non dovrebbe mai giudicare, anzi il lavoro attoriale ti insegna a non giudicare la persona che stai interpretando, al di là delle azioni che compie e del suo pensiero. Tutte le azioni sono assoggettate a quello che è il perimetro della sua intenzione, di quello che è il suo scopo, sia nelle singole scene che nell’intero arco narrativo della storia. Non è un distacco. Tu attore in quel momento non sei altro che un canale. Non sei propriamente tu Tecnicamente trovi dei punti di incontro tra te e il personaggio oppure studi altre persone per arrivare a esprimerlo, ma non parte da te. Ed è la cosa che più apprezzo della recitazione: estraniarsi da sé per entrare nella vita di un’altra persona. Mi piace l’idea di poter interpretare aspetti e vite di persone per le quali certe scelte magari nella vita reale per me sarebbero troppo esagerate o estreme, mentre invece recitando puoi vivere sulla tua pelle autenticamente quali sono le emozioni di una persona che vivrebbe una situazione particolare che magari nella vita tu non avresti mai coraggio di fare. Ci sono dei luoghi che ti fanno sentire a casa. Recitare mi fa sentire come se stessi facendo esattamente quello che artisticamente mi fa stare bene. Ho delle paure magari nella vita reale che quando recito non ho. Noi come esseri umani abbiamo degli schemi mentali e la cosa bella di recitare è liberarsi dei propri per entrare in quelli di un’altra persona. Per certi versi ti senti libero in qualche modo da alcune forme comportamentali e anche da te stesso. Magicamente tutte quelle inibizioni che magari hai nel dire o fare delle cose scompaiono”.
La musica ha e continua a rivestire un ruolo importante nella sua vita e nella sua carriera, ma qual è il valore reale che le attribuisce? Cosa le ha insegnato?
“Le forme artistiche che ho sperimentato in tutti questi anni, a cominciare proprio dalla musica, sono state ciascuna a proprio modo fondamentali e vitali per poter esprimere quello che avevo e ho dentro. Nello specifico la musica mi ha aiutata a crescere come persona, perché le esperienze musicali, della scrittura e del fare un mestiere che non si impara sui banchi di scuola, è stato un ogni volta un viaggio sorprendente e arricchente anche dal punto di vista proprio empatico di scambio con il pubblico. Quindi per me ha e continua ad aver un grandissimo valore e devo dire che le esperienze che ho avuto fin da quando ho iniziato, ormai diversi anni fa, mi hanno insegnato una cosa molto importante: a vivere l’arte sì come un aspetto vitale, ma in maniera diversa. Prima il mio attaccamento a tutto questo era più forte. Attaccamento non in senso positivo. Ero infatti forse troppo dipendente. Adesso invece mi sento molto più adulta e riesco a riconoscere una specie di separazione, o meglio di scissione tra la Chiara artista e la Chiara donna. Nel senso che l’arte per me è un veicolo espressivo e occupa un ruolo molto importante nella mia vita, ma allo stesso tempo anche l’aspetto umano giù dal palcoscenico e lontano dal set è ugualmente fondamentale. La vita dunque non è solo quello in questo momento. L’arte in generale, non solo la musica, mi ha insegnato che non solo posso sopravvivere, ma posso vivere. Ho imparato più a vivere che a sopravvivere. Prima per me l’arte era sopravvivenza pura, adesso ho imparato a vivere con più relax e serenità, anche quando faccio un’audizione per un ruolo. Prima ero molto più impaziente del risultato, invece adesso ho un approccio più rilassato e le cose di conseguenza arrivano con molta più semplicità. Mi giudico meno, nel senso che prima ero molto più inflessibile con me stessa, mentre ora sono finalmente riuscita a trovare un’armonia e una tranquillità nell’affrontare le cose”.
Nel percorso professionale e artistico che cosa ha aggiunto la collaborazione con sua sorella Paola?
“La cosa bella di lavorare in due è che siamo riuscite nel corso degli anni a trovare un equilibrio tra quelli che erano i nostri cliché, ma anche a trovare un’autenticità personale. È stato un vero e proprio viaggio che poi cambia e assume una valenza anche a seconda di come lo guardi. Il percorso artistico, così come quello di vita, lo fai attraverso le persone con cui vivi delle situazioni. Nel mio caso con Paola abbiamo affrontato un percorso insieme e parallelamente ognuna di noi trova anche dei veicoli espressivi personali, ma tutto accade con più naturalezza e meno dogmi”.

Indipendentemente dall’espressione artistica scelta, come nasce e cosa innesca il processo creativo di Chiara Iezzi?
“Niente nasce razionalmente, nel senso che da quando ho memoria ho sempre vissuto gli eventi attraverso la visione che avevo in quel momento. Sin da quando ero bambina vedevo le cose in un certo modo. Da bambina disegnavo e attraverso il disegno esprimevo quello che volevo dire e che magari non dicevo a parole. Poi nel tempo è diventato scrivere una canzone o recitare, assumendo diverse forme. Però non riesco a identificare un iter preciso. Penso che artisti un po’ istintivamente lo si è già dalla nascita. Questa passione diventa successivamente anche un lavoro e quindi si vanno ad aggiungere tutti quegli aspetti tecnici del mestiere che ti aiutano a dare forma e sostanza a quelle visioni che hai in testa”.
Cosa guida le sue scelte artistiche e la spinge a decide di sposare un progetto oppure no?
“In questo invece sono molto meno razionale e più istintiva. L’istinto in me è qualcosa di molto forte. Non scelgo a tavolino e non mi pongo mai questo genere di domande. Ma se una cosa risuona dentro le mie corde e sento che ha un qualcosa sul quale vorrei mettere e investire dell’energia e della riflessione, allora sposo il progetto e ci metto tutta me stessa senza troppi giri di parole o elucubrazioni”.
Oltre a cantare e recitare, ha scritto anche dei libri. Perché va a pescare in tutte queste forme piuttosto che canalizzare le energie in una sola di esse? Il fatto di confrontarsi con varie espressioni artistiche le serve per sentirsi sempre diversa oppure completa a suo modo?
“Ultimamente sono più concentrata sulla recitazione. Ma in generale dipende delle esigenze che ho in un dato momento e di volta in volta scelgo la forma artistica per me più consona per esprimere ciò che sento o voglio dire. In determinati periodi della mia vita ho anche dipinto. Quindi istintivamente utilizzo quella che mi sembra la forma più adatta a esprimere quello che sento, perché se un artista non si esprime diventa come un qualcosa di incontenibile. Non puoi non farlo, è vitale. A volte puoi farlo attraverso la scrittura, altre con la pittura, il canto o la recitazione. Il tutto in concomitanza con quella che è l’evoluzione di te come persona. La forma d’arte può modificarsi, può cambiare. Per quello che mi riguarda ho sperimentato diverse cose perché mi sono cercata a lungo come persona, ho cercato di conoscermi in modo profondo e quindi ogni forma d’arte mi ha aiutato a scoprire o comunicare qualcosa di me stessa. Trovo che il percorso che ho fatto da più di dieci anni nella recitazione in qualche modo mi ha reso più completa come artista e come individuo. Tutte le arti sono inclusive però credo che la recitazione includa tutte le arti che abbiamo menzionato prima”.