Il ghiacciaio per raggiungere Punta Linke

Punta Linke, il museo più alto d’Europa

18 Agosto 2024

A 3.643 m s.l.m., raggiungibile solo con molte ore di cammino attraversando un ghiacciaio, Punta Linke è ritenuto il museo più alto d’Europa, testimonianza viva della Grande Guerra protetta dai ghiacci da oltre 100 anni.

Punta Linke: il tunnel della teleferica_ph Barbara Amoroso Donatti

Inaugurato per la prima volta nel 2014, il museo è rimasto a lungo chiuso a causa di un fulmine che ne ha danneggiato il sistema elettrico. Il 10 agosto 2024 ha aperto nuovamente le porte agli appassionati di alta montagna che hanno la forza e il coraggio di spingersi fin lassù, dove perfino l’aria è diversa a causa dell’ossigeno più rarefatto.

Noi eravamo lì in anteprima il 9 agosto con una guida altamente qualificata: Mario Casanova, alpinista, scalatore professionista appena tornato dalla scalata dell’Himalaya di cui porta ancora i segni su una mano, fortunatamente in via di guarigione, per essersi tolto per 60 secondi un guanto a -40°C. “Non ti accorgi del freddo a quelle altitudini, il clima è secco. Eppure pochi minuti senza guanti possono farti perdere tutte le dita”.

Lo scalatore professionista Mario Casanova_ph Barbara Amoroso Donatti

Casanova è proprietario dell’ultimo rifugio prima del museo, il Vioz a 3.535 m s.l.m. che nel 1915, allo scoppio del conflitto tra Impero austro-ungarico e Regno d’Italia, passò sotto il controllo militare austriaco. Due anni dopo, nel 1917, gli austriaci realizzano la teleferica che da Cogolo (1.160 m s.l.m.) raggiungeva l’anticima ovest del monte Vioz, Punta Linke appunto, garantendo gli approvvigionamenti ai soldati che presidiavano il fronte poco distante.

Il Rifugio Vioz a 3.535 m s.l.m._ph Barbara Amoroso Donatti

Le vite dei soldati incastonate nel freddo secolare

Quando la nostra guida d’eccezione apre la pesante porta in legno che si affaccia sul tunnel della teleferica, immerso in un silenzio lunare, intuisci le vite che hanno attraversato questa montagna. Avanziamo lentamente sul ghiaccio tra galleria e piccole sale, finestre, depositi e numerosi oggetti conservati dal freddo. Ci colpiscono le istruzioni scritte a mano sul funzionamento della teleferica, e le pagine di una rivista datata 1916 che qualche soldato si era forse fatto mandare a oltre 3.600 m per allietare le lunghe giornate sotto zero.

Casanova ci mostra il motore a diesel di fattura tedesca: “Avevano realizzato un sistema tale per cui il fumo del motore usciva bianco anziché nero per celare la loro presenza”.

Punta Linke: il motore della teleferica_ph Barbara Amoroso Donatti

Mentre parla l’alpinista non si sofferma solo sui dettagli archeologici del sito, racconta il suo rapporto con la montagna, e le cime che ha scalato, senza bombole, nella sua carriera: “Dai 5.000 m in poi l’ossigeno diminuisce a tal punto che rimanere lucidi è difficile.

Su quelle cime non ricordavo i nomi dei miei figli.

Ci sono scalatori che nel momento di testimoniare il raggiungimento dell’obbiettivo (per dimostrare di aver scalato la vetta n.d.r.) hanno preso in mano la macchina fotografica e non riconoscendo l’oggetto, l’hanno gettata via”.

Sentir narrare Punta Linke con emozione da un uomo che ha attraversato camminando i “tetti del mondo” amplifica la consapevolezza di essere in un luogo raro.

Tra i ghiacci gli oggetti che raccontano la guerra

I copriscarponi

I copriscarponi in paglia di segale sono uno dei reperti che colpiscono maggiormente: indossati dai soldati durante il servizio di guardia, sulla suola hanno il timbro o del proprietario (Antonio, Januk…) o del Kriegsgefangenenlager (campo di concentramento per prigionieri di guerra russi) di Kleinmünchen a Linz (Austria), il luogo di fabbricazione.

Altri modelli di copriscarponi presenti nel museo raccontano il reale andamento del conflitto.

“Quelli del primo periodo erano fatti in pelle, rifiniti, testimoniando come la guerra negli anni avesse portato via tutto, dal cibo al cuoio. Per mantenere un soldato, ci voleva il lavoro di 3 uomini”.

I copriscarponi in paglia di segale ritrovati a Punta Linke_ph Barbara Amoroso Donatti

La pentola a pressione

Di questi e di altri oggetti ci ha raccontato Maurizio Vicenzi, Direttore del Museo “Pejo 1914-1918, La Guerra sulla Porta” legato a Punta Linke: “Qui potete vedere una delle prime pentole a pressione.

L’acqua oltre i 2.500 m bolle a 70° C, temperatura a cui la carne non cuoce…”

Da qui l’invenzione della pentola ormai presente nelle batterie di tutte le nostre moderne cucine.

Maurizio Vicenzi direttore del Museo ‘Pejo 1914-1918 La Guerra sulla Porta’_ph Barbara Amoroso Donatti

Pipe, stufe, tutori per le ferite, cucine da campo, botti per alcool

E ancora pipe dipinte per i rari momenti in cui non si pensava alla guerra, stufe portatili, tutori austriaci brevettati per curare le gravi ferite, cucine da campo, le botti per una sorta di rum, alcool sì ma di qualità dubbia: “Far bere i soldati prima di un attacco era fondamentale per stordirli, così potevano gettarsi nella trincea” prosegue Vicenzi.

Nel museo a valle le descrizioni realizzate dai volontari di Pejo sono volutamente scarne, per lasciare agli oggetti e all’atmosfera la trasmissione delle emozioni che hanno attraversato luoghi e manufatti.

Parlare di guerra per proteggere la pace

“La vita dei paesi di montagna è dura, dobbiamo creare le condizioni perché questi luoghi siano adatti alla vita.

Con tutti gli uomini al fronte, è stato difficile per le donne mantenere le famiglie. È stato il periodo più difficile che il paese di Pejo ha passato in tutta la sua storia.

Avevano militarizzato il paese perché era vicino al confine, con la paura costante dell’evacuazione”.

Il ruolo della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di Pejo

La Provincia Autonoma di Trento ha finanziato Il progetto di recupero del sito Punta Linke e oggi il Comune di Pejo si occupa della sua gestione assieme ai volontari del luogo.

Obiettivo: parlare di guerra per costruire la pace, anche se i conflitti in corso, come quello in Ucraina, scoraggiano tali intenti.

“Dobbiamo mantenere nel ricordo certi momenti della storia dell’uomo per evitare che accadano di nuovo – spiega il direttore – questi musei rappresentano la pace, nel senso che se guardiamo com’è la guerra, abbiamo maggiore speranza di evitarla, perché così ne conosciamo le conseguenze.

Infatti la guerra terminò solo grazie all’intervento degli Stati Uniti d’America: i militari e i civili sia dell’Impero austro-ungarico che del Regno d’Italia erano stremati, affamati, ormai non erano più in grado di avanzare o ritirarsi.

Pare che l’uomo non impari dal passato: uomini che si conoscono dichiarano guerra e inviano sui campi di battaglia altri uomini che non hanno nessun astio gli uni contro gli altri”.

Camminare per ore e ore, attraversare un ghiacciaio, entrare in un tunnel a -4°C per testimoniare cosa ha voluto dire la guerra oltre un secolo fa, non lascia indifferenti.

In cima al paese di Pejo troneggia sul monumento ai caduti un’aquila austriaca con le ali chiuse, simbolo di pace, in una rara posa rivolta verso l’Italia.

E qui sulle tombe dei militi ignoti, i nostri occhi si possono soffermare sulla targa che così recita:

“Possano riposare in pace in questo cimitero, dove trovarono sepoltura i loro compagni. La loro presenza in questo luogo sia monito perenne agli uomini incapaci di pace”.

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