Da alcuni anni il mondo della ristorazione è alla ribalta delle cronache mondane, per un’allure acquisita grazie ai riflettori di trasmissioni come Masterchef o 4 Ristoranti.
Eppure attribuire questo successo solo alla telecamera è riduttivo: l’Italia è meta internazionale per cultura e tradizione culinaria, coadiuvata da sempre da una biodiversità unica nel suo genere.
Avere il polso di questo settore non è un mero parametro economico per il Belpaese, bensì uno stato di salute della colonna portante del made in Italy e del sentiment generale.
Milano nel 2023 non è esattamente la prima meta culinaria che verrebbe in mente di cercare, eppure un pubblico esigente composto da capitani d’impresa, uomini e donne d’affari abituati ad esplorare confini e tavole di tutto il mondo riconoscono la qualità quando ce l’hanno davanti e non cercano nulla di meno.
In un contesto esigente come questo, il ristorante Pesce d’Oro si sta facendo spazio a suon di rumors positivi sulla piacevolezza della sua location, del servizio e della sua cucina a base di pesce.
Abbiamo raggiunto il suo proprietario, Massimo Gallo, per capire cosa fa la differenza quando ci sediamo a tavola, soprattutto quando sembra sia scoppiata ovunque la crisi di personale e ritmi di lavoro inconciliabili con il resto del mondo.
Il mondo della ristorazione urla SOS da tempo, tra costi e personale irreperibile, invece il suo locale accumula giudizi positivi… il segreto del Pesce d’Oro?
“Direi che ci si nasconde dietro un paravento trasparente. Il personale non si trova perché si fa poca formazione e perché si pretende di far lavorare le persone troppe ore con compensi non adeguati. Se si fa formazione, si rendono partecipi del progetto i collaboratori, si assumono con contratti consoni alla loro qualifica e li si retribuisce di conseguenza, si danno stimoli e premi come qualsiasi altra azienda. In questo modo è più facile reperire personale”.
La risposta di Gallo ci ricorda il rasoio di Occam: una risposta semplice e forse per questo molto scomoda ai più. La ristorazione è vero che è arte culinaria, ma per stare in piedi necessita di capacità imprenditoriale. Il modello illustrato da Gallo ricalca quest’ultima senza se e senza ma.
Film, serie tv e notizie su rinomati ristoranti internazionali smentiscono l’aura divina degli chef e dei loro team… sta cambiando qualcosa da quando si sono accesi i riflettori su questi temi?
“Sì, eravamo arrivati all’eccesso. Bisognerebbe tornare ad avere rispetto per quello che si fa e gli chef talentuosi dovrebbero farsi condizionare meno dai riflettori. A Milano, ad esempio, il mondo della ristorazione è cambiato dopo l’Expo che ha portato una mentalità più aperta, una visione più ampia sull’offerta negli esercizi pubblici”.
Altra domanda difficile. Il nome Pesce d’Oro fa presagire il protagonista della cucina del suo locale. Ma essendo a Milano c’è un mito del pesce fresco da sfatare: come si garantisce pesce fresco nella metropoli lombarda?
“A Milano arriva il pesce più fresco d’Italia e non solo. Il trucco è trovare quello adeguato al livello della proposta che si offre. Io scelgo i miei fornitori testando solo i migliori prodotti sul mercato e condividendo con loro la mia visione”.
E di nuovo Occam docet: se vi aspettavate voli pindarici, vi abbiamo deluso. La qualità passa da idee chiare, competenza e selezione. La vita di un ristorante è però una maratona, perciò abbiamo indagato con Gallo l’altra faccia della vita di un locale: fidelizzare il cliente.
I tre “ingredienti” per far tornare il cliente al Pesce d’Oro.
“Simpatia, accoglienza, buon servizio e genuinità”.
Data la sua attenzione al dettaglio, andiamo oltre e le chiediamo: cosa si capisce su una persona a tavola?
“Tutto. La prima cosa che insegno ai miei collaboratori è capire com’è il cliente da come apre la porta e ti saluta. Io lì deduco che tipo di persona ho di fronte, come si comporterà, cosa posso offrirgli per renderlo felice”.
Lei a cosa fa più caso?
“Allo sguardo del cliente, all’espressione quando entra nel mio ristorante”.
Con l’aumento dei costi e la necessità di essere più sostenibili, cucine e chef hanno modificato menù e metodi di cottura. Il Pesce d’Oro come affronta questi temi?
“Per noi è più facile. Il pesce fresco è una materia prima che costa, ed è giusto che sia così. Il cliente lo paga di conseguenza, ma solo così si può mantenere una filiera corretta e che funzioni dalla pesca al piatto”.
La cucina del futuro secondo lei.
“Varia e di grandi offerte negli esercizi pubblici nei confronti dei clienti, diciamo che il ristorante toscano è un lontano ricordo”.
Oggi la tavola è ancora il luogo dove chiudere affari e coltivare relazioni?
“Assolutamente sì. Il piacere di stare a tavola e degustare un buon piatto e un buon bicchiere di vino distende gli animi e valorizza gli affari”.
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