Mowg: l’architetto delle emozioni sonore

9 Aprile 2025

Con il suo approccio unico alla musica da film, che mescola tradizione coreana e sperimentazione elettronica, Lee Sung-hyun, in arte Mowg (dal soprannome che i compagni dell’Accademia di New York gli hanno dato a vent’anni per la via della somiglianza con il celebre protagonista de Il libro della giungla, Mowgli), ha creato colonne sonore capaci di trasformare ogni scena in momenti intensi e memorabili. Le sue composizioni, in grado di raccontare storie senza bisogno di parole, sono diventate il cuore pulsante di un viaggio sonoro che trasforma il cinema in qualcosa di molto più di un semplice spettacolo: un’esperienza sensoriale che si fa ricordo.
In questa intervista esclusiva realizzata a margine della masterclass e del concerto tenuti al Cinema La Compagnia di Firenze durante la 23esima edizione del Florence Korea Film Fest, abbiamo avuto modo di approfondire il suo processo creativo dietro la composizione musicale per il cinema, scoprire come la musica può trasformare una scena di un film ed entrare nel rapporto tra regista e compositore nel plasmare il tono di un’opera. Ma è dalla passione per la musica e dal suo essere un artista che siamo partiti per dipingere il ritratto del visionario e pluridecorato compositore e jazzista sudcoreano, autore delle colonne sonore di film iconici e acclamati come I Saw the Devil, Burning e The Age of Shadows.

Quali sono stati gli ostacoli che ha dovuto affrontare per fare in modo che il suo sogno di diventare un artista diventasse realtà?
“In Corea, i genitori delle generazioni passate volevano che i figli andassero in una buona scuola, avessero la migliore educazione possibile e che fossero bravi a fare qualsiasi cosa tanto nello studio quanto nello sport. In più nel mio Paese le persone che come me volevano fare l’artista non venivano viste di buon occhio, poiché ritenevano quel tipo di vita pericolosa, dalle scarse prospettive e poco stabile economicamente a differenza di quella di un avvocato o di un medico. Anche mio padre e mia madre facevano parte di quella corrente di pensiero e avevano la stessa forma mentis. Motivo per cui per portare avanti il mio sogno di diventare un musicista sono dovuto andare a studiare e formarmi negli Stati Uniti, dove l’idea e la possibilità di vivere di musica e di arte in generale era ed è vista ancora oggi in maniera completamente diversa”.

Come e in cosa sono cambiati negli anni i suoi gusti musicali?
“Quando ero più piccolo mi piaceva molto quel tipo di musica caratterizzata da sonorità molto forti, selvagge e roboanti come ad esempio quelle di Paolo Conte, per il quale nutrivo e nutro ancora oggi una grandissima stima. Poi a poco a poco, con il passare del tempo, ho iniziato a preferire qualcosa di più leggero e confortevole. Ora i miei gusti abbracciano entrambe le visioni, con un’apertura sempre al nuovo, a quello che non conosco e che le mie orecchie non hanno mai ascoltato prima”.


C’è un genere di musica che più di tutte l’affascina?
“Prima di cimentarmi nella composizione di colonne sonore, il genere di musica che avrei voluto fare era quella jazz per l’ammirazione che nutrivo nei confronti dei musicisti che a suo tempo, durante gli anni di studio in America, avevo avuto l’occasione di ascoltare e del quale mi ero innamorato. Ricordo che rimasi affascinato, oltre che dal loro modo di suonare, anche dall’atmosfera che riuscivano a creare e dal loro abbigliamento, con quelle giacche e cappelli così particolari. Purtroppo l’approccio jazzistico tecnicamente non è compatibile con il lavoro sulle colonne sonore e con le esigenze dell’industria cinematografica. Il ché mi impedisce di far conciliare le due cose”.


Quali sono le emozioni che la attraversano quando sale su un palco e si esibisce dal vivo?
“Di solito anche a casa o in studio di registrazione provo tantissimo prima di una performance per essere sicuro di eseguire al meglio i brani, ma soprattutto per riuscire a trasmettere quello che provo alla gente che mi sta guardando e ascoltando, a cominciare da una buona dose di positività. Ad esempio quando faccio dei live particolarmente lunghi che richiedono tanta energia e prestanza fisica cerco di trasferire al pubblico solo vibrazioni positive, divertimento ed emozioni intense, facendo di tutto per nascondere quella che può essere la stanchezza del momento o un cattivo stato d’animo. Se dimostro e porto sul palco con me delle negatività a risentirne è in primis la mia musica e di conseguenza l’esibizione e la fruizione da parte del pubblico”.


C’è qualcosa in particolare che ci tiene a trasmettere al pubblico?
“Più che fare arte mi piacerebbe trasmettere, esprimere ed evocare attraverso di essa un senso di nostalgia. Un sentimento, questo, che dentro di me è sempre presente”.


Qual è per lei il ruolo della musica in un film?
“In generale è quello di rispecchiare e accompagnare ciò che scorre sullo schermo, motivo per cui la track che vado a comporre deve adeguarsi al tono, alle emozioni o alla situazione di quella data scena o dell’opera in generale. Nel farlo ci metto ovviamente del mio, ma ho anche l’ansia di creare e di andare più vicino possibile a quel tipo di sonorità che il regista vuole o si aspetta da me per la sua pellicola. Quindi bisogna andare incontro alle esigenze specifiche di ogni singolo film e autore, lavorando in funzione di essi. In tal senso, penso che oggi si stia andando sempre di più verso una strada di evoluzione che non va per forza a ricercare la bellezza nelle cose. Le cose belle le abbiamo fatte per un oltre un secolo a questa parte. Oggi invece sento che spira un vento di innovazione e sviluppo”.

Cosa secondo lei identifica e caratterizza le sue colonne sonore?
“Siccome sono una persona che vuole esprimere quello che prova e sperimentare sempre cose nuove, non ci può essere un brano, una tecnica o una melodia in particolare capace di riassumere a pieno quella che è la mia idea di musica. In realtà tutti i fattori si concentrano di volta in volta nella composizione di turno. Semmai ce ne può essere una che maggiormente mi rappresenta, come nel caso della colonna sonora di Silenced, un crime diretto dallo stesso autore della serie Squid Game, Hwang Dong-hyuk. Per il brano iniziale di questo film, che ha riscosso un grandissimo successo in patria e non solo, ad esempio ho utilizzato una sola nota ripetuta più volte al pianoforte in un crescendo che accompagna sullo schermo il tragitto di un’automobile in lontananza sino all’ingresso di una scuola. Il risultato è una composizione basata su un tipo di musica molto classica che vedrà gradualmente l’aggiungersi dell’orchestra al piano. La maggior parte dei registi coreani, Hwang compreso, desiderano che le musiche che realizzi per i loro progetti siano qualcosa di unico che non facesse nessun altro. Motivo per cui dopo aver fatto delle musiche con un certo tipo di caratteristiche come quelle di Silenced non ho più avuto l’occasione di ripetere delle soluzioni simili in altri film. Il ché significava non potere utilizzare nuovamente allo stesso modo il pianoforte e allora per la colonna sonora di un’altra importantissima pellicola alla quale ho avuto l’onore di collaborare come Masquerade, il film in costume di Choo Chang-Min, anch’esso campione di incassi in patria, mi sono rivolto a uno strumento differente ma che conoscevo altrettanto bene, ossia il basso. Con le sue note sono riuscito a dare vita a un ritornello che mi ronzava da tempo nella testa, che poi è diventato il brano della scena d’apertura. Ho fatto questi esempi per spiegare il perché non esiste un pezzo in grado di racchiudere il mio essere musicista, proprio per il fatto che ogni volta cambia e si plasma in base al progetto che mi viene affidato. Non c’è dunque una caratteristica specifica che percorre la mia discografia, ma penso che tutto quello che ho fatto sino ad oggi riflette le diverse sfaccettature del mio stile e della mia personalità artistica e umana”.

In che modo un compositore di colonne sonore come lei e più in generale chi fa il suo mestiere deve rapportarsi ai cambiamenti tecnologici?
“Più si sviluppa l’industria cinematografica, più le fasi che la compongono e ne caratterizzano la produzione, compresa la realizzazione della colonna sonora, devono giocoforza adeguarsi e svilupparsi a loro volta per rimanere al passo, arrivando persino a cambiare forma. In passato ad esempio l’utilizzo della musica nel cinema aveva un ruolo e un effetto diversi rispetto a quelli che hanno adesso. Ora le informazioni che un brano può e deve fornire a un film sono cambiate, acquisendo un valore e una funzione differenti. Questo perché le richieste e le esigenze sono mutate nel tempo. Se prima si cercava di trasmettere un certo tipo di atmosfera o di mood, adesso si cerca di aiutare a descrivere le ambientazioni e ad accompagnare le immagini con sonorità sempre più essenziali, necessari e realistici. Di conseguenza la melodia e il ritmo della musica stessa si stanno andando via via a ridurre e a semplificare per assecondare quella che è la direzione intrapresa dal settore dell’audiovisivo. L’enorme sviluppo tecnologico che c’è stato, pensiamo agli effetti speciali, ha reso le immagini sempre più complesse, ricche e avanzate anche da un punto di vista della definizione, della composizione e degli elementi presenti, motivo per cui ha iniziato a non esserci più bisogno di andare a colmare con la musica quelle che potevano essere le mancanze di un tempo”.

Che rapporto ha con i social e l’intelligenza artificiale?
“Personalmente ho un rapporto un po’ conflittuale con la tecnologia e infatti ho provato a promuove me e la mia musica attraverso i social ma con scarsissimi risultati, proprio perché non si addicono alla mia indole. Per quanto concerne l’intelligenza artificiale ciò che si produce attraverso di essa, indipendentemente che si tratti di immagini o suoni, appare a mio avviso fin troppo perfetta, al punto da renderla finta, non reale. Quello che cerco di fare e che proverò a fare nei prossimi anni è mantenere e preservare quel carattere di artigianalità, quella manualità e quel fattore umano, che c’è dietro l’atto creativo e che può manifestarsi anche attraverso delle imprecisioni e delle imperfezioni in grado di rendere l’opera a suo modo unica e vera”.

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