Jacopo Ierussi: fare l’influencer è un lavoro

4 Febbraio 2024

Dopo anni di jungla senza norme a stabilire regole sulle attività degli influencer, ecco che il caso Chiara Ferragni – pandoro Balocco, ha spinto sull’acceleratore di autorità e istituzioni. Il 10 gennaio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) ha annunciato infatti le Linee-guida per rispettare le disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi (D.Lgs. 208/2021, attuativo della Direttiva Ue 2018/1808) da parte degli influencer, precedendo di poco il governo Meloni.

Jacopo Ierussi presidente Assoinfluencer

Per capire cosa sta succedendo, abbiamo raggiunto l’avv. Jacopo Ierussi, presidente di Assoinfluencer, l’associazione di categoria che tutela i professionisti ‘follower addicted’ inserita dal Ministero dello Sviluppo Economico nella Sez. II dell’elenco ex L. n. 4/2013:

“Siamo parte di Confcommercio Professioni, ovvero la Federazione di settore di Confcommercio – Imprese per l’Italia che riunisce le associazioni professionali del sistema confederale” spiega Ierussi.

Qualcosa di simile esiste oggi sono negli USA.

Quando si può parlare di influencer

Partiamo dalla definizione di influencer: il presidente dell’associazione si batte affinché la professione rimanga aperta a tutti, come per gli attori, pur ribadendo l’importanza della formazione e del fare rete con professionisti qualificati.

“Un influencer è tale se ha in media almeno 5.000 follower, posta 2/3 post a settimana, e ha un engagement coerente con tali numeri (circa il 2%)”.

Marketing e beneficenza devono rimanere separati

Questo per distinguere chi i follower li ha acquistati e chi ne ha tanti per popolarità e non come frutto di strategia commerciale. Sullo scandalo che ha investito Chiara Ferragni (che non è socia Assoinfluencer) il presidente glissa, rimandando alla conferma o alla smentita dei fatti da parte delle autorità preposte. Ma su un aspetto si sbilancia senza esitazione: marketing e beneficenza devono rimanere separati:

“La beneficenza non ammette un interesse personale. Ai nostri associati consiglio di evitare di unirli. Se io vendo un libro, ad esempio, e voglio destinare il 30% del ricavato a una realtà senza scopo di lucro, è opportuno prima vendere il libro, poi destinare una parte del ricavato a scopo benefico”.

In previsione di un codice ATECO ad hoc, la regolamentazione AgCom e del Disegno di Legge, mettere l’influencer marketing su binari precisi che effetti sortirà sui content creator?

“Una crescita della consapevolezza che quella dell’influencer è una professione. Questo per anni non è stato possibile perché c’era la concezione che non fosse un lavoro, bensì un hobby. Dato che questa professione porta un indotto sia sul lato fiscale che contributivo è controproducente agire in modo diverso”.

Tre aspetti positivi dell’influencer marketing

La posizione di Jacopo Ierussi è netta, non c’è confusione tra comunicatore e content creator. Nella lunga chiacchierata al telefono tocchiamo anche l’argomento Ordini professionali, dato che nell’immaginario collettivo il parallelo viene sempre fatto con i giornalisti, ambasciatori dell’informazione da sempre ma che hanno delle responsabilità in merito a cosa e come comunicano, e influencer, che delle responsabilità le hanno nei confronti del consumatore, e che con i fatti delle ultime settimane, subiranno un giro di vite sulla necessaria trasparenza del loro legame con i prodotti che promuovono, cosa in realtà prevista dalla Legge da tempo.

Dopo diverse domande spinose, chiediamo a uno dei primi sponsor di questa new economy, 3 aspetti positivi dell’influencer marketing.

“Bellissima domanda! Il primo aspetto è la capacità di rivoluzionare un business, di renderlo scalabile. Faccio sempre l’esempio di Con mollica o senza? che grazie alla capacità di comunicare e un format molto semplice, sono passati da una piccola realtà locale a un franchising.

Venere Influencer? Meglio assumere un vero influencer

Abbiamo delle eccellenze sul territorio italiano che potrebbero essere comunicate senza difficoltà tecnica, in quanto i content creator sanno come superarle. Visti anche i problemi recenti con la campagna della Venere Influencer, forse più che rivolgerci a una Venere influencer, dovremmo rivolgerci agli influencer italiani per capire come comunicare meglio il nostro territorio. Pare che il Campidoglio voglia assumere due influencer per promuovere la Città Eterna.

La Generazione Z legge solo sui social: la stampa si sta adeguando

“Secondo aspetto: la capacità di fare divulgazione su temi sociali, politica, problemi LGBTQI+ arrivando alla Generazione Z: oggi molti ragazzi si informano solo via social, non leggono più i giornali, tanto che ci sono testate giornalistiche che si stanno adoperando per avere un approccio più conforme a questo tipo di standard e raggiungere quella fascia di consumatori.

“Terzo aspetto: la capacità di promuovere iniziative positive e disinteressate. Ad esempio lo Spider-Man italiano Mattia Villardita. Il suo format prevede di andare negli ospedali a trovare i bambini, così che possano incontrare l’eroe in un momento di grande difficoltà. Mi permetto di chiudere con The Jackal con un’iniziativa meravigliosa (a cura di Actionaid n.d.r.) per portare la scolarizzazione in Africa”.

Influencer marketing in numeri *

Nel 2021 l’influencer marketing aveva registrato un +15% rispetto all’anno 2020, raggiungendo 280 milioni in Italia e generando 450mila posti di lavoro. Possiamo dedurre che lo scoppio del traffico in rete con mezzo mondo chiuso in casa a causa del Covid19 abbia influito molto su questo dato. Nel 2022 l’influencer marketing ha toccato i 308 milioni di euro in Italia (16,4 miliardi nel mondo), ovvero un +10% rispetto al 2021. Le prime stime sul 2023 fanno ipotizzare un + 13%, per un giro d’affari da 348 milioni di euro.

I driver del settore

Il mercato dell’influencer marketing è guidato dal Fashion & Beauty, passato dal 15% del 2022 al 25% del 2023. Subito dietro, il Gaming (12,9%), Travel & Lifestyle (12,5%). Nel 2023 sono cresciuti i settori Sport (dal 4% al 12%) Family, Parenting & Home (dal 6% al 10,7%). Decrescono invece l’Health & Fitness (dal 13% al 6,8%).

*Dati DeRev

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