L’industria del fashion, in particolare il fast fashion, è tra le più inquinanti: il lavaggio dei prodotti sintetici rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari, mentre un carico di bucato di abbigliamento in poliestere rilascia più di 700.000 fibre di microplastiche nella catena alimentare (fonte: Unione Europea) senza considerare l’inquinamento dovuto alla logistica (voli internazionali provenienti dalla Cina e da altri paesi extra UE e trasporti marittimi) e quello idrico.
I capi di fast fashion costano poco ed il motivo è molto semplice: la qualità dei tessuti è bassa e i diritti dei lavoratori sono praticamente inesistenti.
Inoltre, la breve durata dei capi conseguente all’iperproduzione ha creato anche un altro problema, quello dello smaltimento, con discariche di poliestere nel deserto di Atacama e nei fiumi del Bangladesh, uno dei maggiori produttori di moda low cost destinata ai paesi occidentali.
Ma invertire questa deriva consumistica è possibile. In Italia, per esempio, Eva re-source, azienda specializzata nel commercio di tessuti non più utilizzati dai grandi brand del lusso, fin dall’inizio ha fatto proprio il concetto di riuso, dando nuova vita alle stoffe che, altrimenti, farebbero solo volume all’interno dei magazzini.
Il tutto a vantaggio di piccoli brand di moda e giovani creativi che stanno scoprendo una nuova modalità di acquisto all’insegna della sostenibilità, della circolarità e della qualità dei tessuti a prezzi contenuti.
Abbiamo incontrato la titolare di Eva re-source , Enrica Evangelisti, che ci ha aperto gli occhi su una filiera del fashion innovativa e diversa dalle tendenze mainstream.
Enrica, partiamo dagli esordi: l’azienda è stata rilevata da lei e dalle sue tre sorelle.
Come è nata questa decisione e quali sono state le vostre aspirazioni iniziali?
“Si è trattato di un processo fisiologico.
Siamo nate tutte e quattro in azienda, anche se tutte noi, agli inizi, abbiamo intrapreso percorsi diversi: c’era chi desiderava diventare insegnante e chi pensava di fare tutt’altro nella vita ma, alla fine, ci siamo trovate tutte e quattro inglobate in questa impresa.
Tutte, chi più, chi meno volentieri, siamo venute in contatto con una realtà che, nonostante i periodi di crisi, stava crescendo.
C’era bisogno di dare una mano alla mamma, che aveva creato Eva re-source, quindi alla fine siamo tutte rimaste in azienda”.
Come sono suddivisi i vostri compiti?
Come si integrano le vostre competenze per il successo della vostra impresa?
“Integrarsi tra noi quattro sorelle non è stato semplice, tra confronti e scontri e successivi chiarimenti, come è normale che succeda in una famiglia.
Poi, col tempo, ognuna di noi ha assunto responsabilità in base al proprio talento.
In pratica, ciascuna di noi si è specializzata spontaneamente in contabilità, acquisti e vendite al dettaglio”.
Avete trovato ostacoli nel settore della moda come imprenditrici?
La vostra leadership al femminile ha influenzato la cultura aziendale?
“I pro dell’essere donne in un’impresa come la nostra è che, da sempre, “l’altra metà del cielo” è, per sua natura, affine al settore del fashion.
Un altro punto a nostro favore è la capacità di comprendere immediatamente i desiderata dei clienti: bastano solo pochissime frasi e pochi gesti per individuare le loro aspettative, cosa che, generalmente, non è semplice, in quanto il catalogo delle nostre stoffe è veramente ampio: tra seta, cachemire e lana di tutti i colori, è come un labirinto all’interno del quale bisogna sapersi muovere agilmente.
Grazie a questa nostra capacità nell’assistenza alla vendita, dopo due iniziali “no” da parte del prospect, è difficile che la terza proposta non lo soddisfi.
Per quanto riguarda, invece, i contro dell’essere donne imprenditrici, per noi è stata la difficoltà di conciliare la sfera professionale con l’essere mamma.
In tutto i nostri figli sono dodici, quindi gestirli non è stato semplice, anche se ci siamo aiutate molto durante tutte e quattro le gravidanze di ciascuna, coprendo il lavoro della sorella in maternità quando se ne presentava la necessità e lavorando tutte fino all’ultimo giorno”.
Voi promuovete la creatività circolare.
Cosa significa per voi?
“Abbiamo fatto nostro questo principio captando questa nuova tendenza del fashion che noi abbiamo sempre adottato.
Per questo, abbiamo deciso di posizionarci non come il classico commerciante di tessuti, ma come un commerciante di tessuti sostenibile acquistando su chiamata dai più importanti brand di moda i tessuti non più utilizzati.
Le rimanenze, quindi, con noi hanno nuova vita grazie ad altri clienti.
Questo processo, a prima vista, sembra semplice e lineare, ma, in realtà, non lo è, perché dobbiamo avere una conoscenza approfondita di tutti i tipi di tessuti, del loro smistaggio e del loro posizionamento in magazzino, altrimenti sarebbe un caos.
Come questa filosofia guida le vostre attività quotidiane?
La nostra forza è l’acquisto di tessuti da ben 70 anni.
Siamo partite con un negozio fisico, Casa dello Scampolo, che nasce come piccola bottega di paese grazie a nostra madre Erminia e che, col tempo, è diventata una società di eccellenza sopravvissuta alle crisi degli anni Novanta.
Merito di mia mamma che non si è mai arresa, recandosi tre volte a settimana ad acquistare i tessuti avanzati nei magazzini di Biella e di Como e nelle sartorie.
Ha capito in anticipo l’importanza di una stoffa di qualità ma ad un prezzo molto basso: lei aveva la grande capacità di scovare tessuti dismessi che potevano essere riutilizzati.
Facendo tesoro del modo di lavorare di nostra madre, abbiamo fatto subito nostri i concetti di sostenibilità e di riuso.
Negli ultimi tempi le quantità dei tessuti dismessi dai brand del lusso sono enormi, parliamo di lotti da 40, 50 o 100 mila metri di tessuti ogni sei mesi, cioè dopo ogni collezione.
Questo ci ha fatto crescere come azienda ma, al tempo stesso, ci ha anche spaventato: la domanda di stoffe supera l’offerta, per questo abbiamo deciso di creare, due anni e mezzo fa, uno spin off di Casa dello Scampolo, l’e-commerce Eva re-source, non per acquisire nuovi clienti ma per sensibilizzare i giovani sul concetto di riuso.
Con Eva re-source vogliamo comunicare che in Italia vi sono tanti magazzini come il nostro, quindi basta cercare per trovare il tessuto che potrà dare vita ad un nuovo capo.
È assurdo che un designer continui a far produrre nuove stoffe, perché in commercio già si trova veramente di tutto, basta scegliere ciò che può andare bene per la prossima collezione”.
Come supportate i giovani designer e le start up nella creazione di collezioni sostenibili?
Avete instaurato partnership con le scuole di moda?
Come sensibilizzate gli studenti?
“Abbiamo attivato partnership con l’Istituto Marangoni, con l’Istituto Secoli e con la Esmod di Kuala Lumpur proponendo sconti e campioni e offrendo tessuti.
Inoltre, mettiamo a disposizione dei neodiplomati di queste scuole i nostri prodotti senza obbligare mai all’acquisto di quantitativi minimi.
Faccio un esempio: con noi il minimo non è il 50 metri classico della pezza di stoffa ma il 6 metri.
Questo significa che dobbiamo fare tutto manualmente perché, al contrario del 50 metri classico, il taglio, nel caso del 6 metri, non può essere svolto dal macchinario.
Per noi, però, è importante aiutare i giovani designer che, in questo modo, usano le stoffe solo per una collezione, senza eccedenze di tessuti per la successiva e spendendo poco.
Infine, cerchiamo di essere sempre allineati sui prezzi, che sono più bassi di quelli di produzione non avendo la cartella colori.
Come magazzino di Casa dello Scampolo facciamo anche un servizio di stoccaggio: se un cliente ha bisogno di preparare il campionario per capire la quantità di tessuto da acquistare, ha la possibilità di appaltare questi tessuti nel mese richiesto per poi chiudere l’ordine.
Con Eva re-source abbiamo anche voluto creare una “pagina ispirazione”, che consente di scegliere i tessuti non solo in base al colore ma anche in base alla cadenza e alla struttura.
Questo per noi è molto importante perché, ovviamente, l’e-commerce non consente di toccare un tessuto, quindi, oltre a fotografare ciascun prodotto, abbiamo fatto anche un video per vedere come ciascuna stoffa cade e si muove quando il designer ha creato l’abito”.
Avete in programma altre innovazioni tecnologiche per Eva re-source?
“Siamo in contatto con alcune aziende che permettono di creare dei modelli con il tessuto, ma siamo ancora alla ricerca di partner.
Per noi e per i designer, infatti, è fondamentale non solo l’effetto della stampa sull’abito, ma anche il movimento, la fluidità e la croccantezza del tessuto, magari riprodotto in 3D”.
Che rapporto ha con il lusso?
Ha un concetto personale di lusso?
“Il lusso più grande è avere il tempo di apprezzare le cose belle, tempo che, purtroppo, spesso viene a mancare perché siamo troppo presi per poterlo cogliere al momento giusto.
Nel mio settore il lusso significa scegliere un tessuto di qualità, perché, quando indossi seta o cachemire, non riesci più a tornare indietro”.
Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi cinque anni?
“Si sta affacciando la terza generazione, quindi vogliamo far venire voglia ai nostri figli di iniziare questo percorso e di crescere con noi in azienda.
Un altro desiderio è che gli studenti possano davvero capire quanto è importante lasciarsi ispirare da un tessuto che già esiste”.
Quali sono i continenti più sensibili alla creatività circolare?
“Il Nord Europa, dove ci sono dei piccoli brand particolarmente attenti al ciclo di vita del tessuto”.
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