Darko Perić è stato uno degli ospiti d’onore e più attesi della settima edizione del Saturnia Film Festival.
L’attore serbo ha raggiunto la notorietà grazie al personaggio di Helsinki nell’acclamata serie spagnola La casa di carta.
La sua straordinaria performance nelle cinque stagioni del celebre show che ha spopolato a livello mondiale grazie all’ingresso nel catalogo di Netflix è stata il trampolino di lancio di una carriera che lo ha portato a recitare ruoli a tutte le latitudini.
Lo abbiamo incontrato negli incantevoli salotti del resort di Saturnia Natural Destination che si affacciano sul suggestivo parco piscine a margine della cerimonia di chiusura della kermesse toscana, laddove ha ricevuto un importante riconoscimento proprio per il suo incredibile percorso internazionale.
E abbiamo approfittato della preziosa occasione per rivolgergli qualche domanda sul successo di La casa di carta e sui suoi futuri impegni anche in terra italiana.
Darko Perić, è arrivato alla recitazione piuttosto tardi dopo avere svolto diversi mestieri. Cosa ha fatto nascere in lei questa passione?
“Questo è un lavoro che richiede tanta passione e non puoi farne a meno nel momento in cui decidi di intraprendere il difficile cammino nel mondo della recitazione.
Nel mio caso la scintilla è scoccata nel 2015 quando sono stato scritturato per interpretare il personaggio di Water Seller in un film di Fernando León de Aranoa dal titolo Perfect Day, al fianco di nomi del calibro di Benicio del Toro e Tim Robbins.
Prima di allora ho vissuto tante vite differenti, alternando al lavoro come tatuatore e veterinario qualche apparizione in ruoli minori in serie e cortometraggi girati in Spagna, laddove mi sono trasferito nel 2004 e dove vivo ancora oggi, per la precisione in quel di Barcellona.
Da quella prima importante esperienza alla domanda di cosa ti occupi? ho iniziato a rispondere l’attore a tempo pieno, presentandomi in quanto tale. Del resto funziona così: se tu credi in qualcosa, poi ci credono anche gli altri”.
A cosa attribuisce il successo planetario di una serie come La casa di carta?
“Per me il riscontro di pubblico ottenuto da La casa di carta è stata una vera sorpresa, perché inizialmente nessuno ipotizzava o poteva nemmeno immaginare un successo tale a livello internazionale.
È molto difficile spiegare le ragioni del suo successo.
Sicuramente dietro c’era quello ottenuto dalla squadra di tecnici che aveva già lavorato precedentemente a un altro prodotto audiovisivo di grande qualità come Vis a Vis, a cominciare dallo showrunner Álex Pina.
Oltre alla componente tecnica e alla bravura di tutte le persone che hanno collaborato nei vari reparti alla sua realizzazione, la forza della serie sta a mio avviso anche nel raccontare storie in grado di emozionare e arrivare al pubblico.
Quindi parliamo di stile, d’impulso e della bravura nel narrare storie capaci di fare scattare qualcosa nello spettatore di turno.
Altro fattore a mio avviso determinate è il fatto che la serie ha avuto Netflix come cassa di risonanza. Arrivare a un pubblico così vasto come quello che popola la piattaforma a stelle e strisce è un’opportunità di visibilità enorme che i prodotti audiovisivi del passato non hanno avuto.
Il che significa che uno spettatore può fruire di un contenuto anche dal proprio cellulare e da altri device a sua disposizione, ma anche che quello stesso contenuto può arrivare ovunque nel mondo.
Ricordo ad esempio quando siamo andati a presentare la serie in Brasile al Comic Con Experience di San Paolo.
Nella sala che ospitava l’evento c’erano all’incirca cinquantamila persone. Sembrava di stare a un concerto dei Rolling Stones, perché ci trattavano alla pari delle rock star”.
Darko Perić, ha mai avvertito la paura o il pericolo che una serie e un personaggio come Helsinki così popolari potessero in qualche modo ingabbiarla e indirizzare la sua carriera? Come è riuscito a evitarlo?
“Certo che sì, motivo per cui successivamente, al termine di quell’esperienza, che ha rappresentato una fase importantissima nella mia carriera, ho voluto prendere parte e accettare ruoli completamente diversi.
Conclusa l’ultima stagione de La casa di carta ho infatti recitato in commedie o vestito i panni di figure da me lontane anni luce come ad esempio l’Apostolo Pietro in La versione di Giuda di Giulio Base.
Troppo facile sarebbe stato invece interpretare un gangster o dei personaggi simili, così da cavalcare l’onda e accomodarmi in una comfort zone, ma ho preferito percorrere altre strade proprio per mostrare al pubblico e agli addetti ai lavori delle altre corde”.
Oggi che rapporto ha con la popolarità e come ha imparato a gestire i pro e i contro che ne derivano?
“A distanza di sette anni dal grandissimo successo ottenuto grazie a La casa di carta e al personaggio di Helsinki sto ancora cercando di farci l’abitudine.
All’epoca sono stato letteralmente travolto da un momento all’altro da una fama alla quale ero del tutto impreparato.
Mi sono ritrovato in un battito di ciglia dall’essere un attore sconosciuto a uno mondialmente riconosciuto.
Solo con il passare del tempo ho imparato in parte a gestirla, perché, specialmente quando ti piove addosso all’improvviso come nel mio caso, può rappresentare un’arma a doppio taglio.
A un certo punto diventi un personaggio pubblico, la tua privacy viene meno e tutti pendono dalle tue labbra, motivo per cui devi fare molta attenzione a ciò che dici, a come lo dici e assumertene le responsabilità, a maggior ragione se il tuo pensiero passa per i social e i media.
Come in ogni cosa ci sono dei pro e dei contro, degli alti e dei bassi, dei periodi di esaltazione e altrettanti di down.
Ecco allora che diventa importante restare lucidi e con i piedi sempre saldamente piantati a terra, trovando ogni volta il giusto equilibrio mentale per affrontare al meglio le singole situazioni.
Per fortuna questa incredibile popolarità è arrivata a quarant’anni, perché se fosse arrivata prima non so se l’avrei saputa gestire. Il successo quando arriva troppo presto può anche essere pericoloso.
Quindi l’esperienza e la maturità mi hanno permesso di resistere a una simile esposizione mediatica”.
Darko Perić, come l’Italia è entrata a fare parte della sua vita e della sua carriera?
“Nel caso dell’Italia posso dire che sono cresciuto un po’ con la cultura e l’arte locale. Il primo contatto risale infatti al periodo giovanile in Jugoslavia.
Leggevo praticamente tutti i fumetti che arrivavano dal vostro Paese tra gli anni Settanta e Ottanta.
Ero un grandissimo fan della Bonelli e di fumettisti come Alfredo Castelli e Tiziano Schiavi. Adoravo i personaggi di Martin Mystère e Dylan Dog.
Anche il cinema made in Italy con i film di Bud Spencer e Terrence Hill o gli spaghetti western di Sergio Leone e Sergio Corbucci hanno accompagnato quel periodo.
Poi, quando sono andato a studiare a Bucarest grazie a degli amici, ho scoperto le opere del Neorealismo, ma soprattutto i capolavori di Federico Fellini.
Fino a quel momento il mio punto di riferimento era principalmente Emir Kusturica.
Il cinema europeo, compreso quello italiano, in generale ha occupato un posto importante nella mia vita, nella mia formazione e nel mio immaginario di spettatore prima e di lavoratore dello spettacolo poi.
Penso ad esempio al ruolo e all’importanza che quel tipo di cinema hanno avuto per me e per moltissimi altri come me durante il conflitto nei Balcani, rappresentando una validissima alternativa alle produzioni americane.
Poi il destino ha voluto che, a seguito del successo avuto con La casa di carta, dei registi e dei produttori italiani abbiano iniziato a cercarmi per prendere parte ai loro progetti”.
Rispetto alle esperienze lavorative maturate in Italia fin qui, ha fatto suo qualcosa in termini di bagaglio professionale?
“Negli anni ho avuto la fortuna di girare film e serie in diverse parti del mondo.
Ovunque il mestiere di attore mi abbia portato ho preso qualcosa.
La possibilità di collaborare con figure e competenze diverse è stata per me fonte di arricchimento sia umano che professionale.
Ad oggi ho recitato in cinque pellicole battenti bandiera tricolore tra cui La prima regola di Massimiliano D’Epiro e Ricchi a tutti i costi di Giovanni Bognetti, ma non ho ancora avuto modo di metabolizzare quanto acquisito e di fare un primo bilancio.
In Italia penso ci sia un potenziale enorme.
Qui ho trovato fermento, talenti, professionalità e una grandissima creatività, purtroppo non supportati adeguatamente e quanto meriterebbero dall’Industria del settore che, a mio avviso, arranca rispetto a quella di altri Paesi come, ad esempio, la Spagna, la Germania o la Francia”.
C’è nel suo percorso un progetto che, secondo lei, non ha ottenuto il riscontro che avrebbe meritato e uno che invece è andato al di sopra delle sue aspettative?
“La prima regola è, a mio avviso, un film bellissimo, di grande atmosfera, con una tensione febbrile costante, interpretato da attori straordinari tra cui Fabrizio Ferracane e da giovani talenti, a cominciare da Andrea Fuorto e Antonia Fotaras.
In più trattava una serie di tematiche dal peso specifico rilevante, di strettissima attualità.
Eppure questo non è bastato e sinceramente proprio non capisco perché non abbia funzionato.
Anche La casa di carta prima di approdare su Netflix non aveva avuto lo stesso successo.
Magari con l’approdo su Amazon Prime Video e l’enorme visibilità che le piattaforme possono offrire ai contenuti, quel film potrà avere una seconda vita e un riscontro maggiore.
Diversamente ho partecipato a una commedia spagnola molto easy dalla quale non mi aspettavo assolutamente nulla, eppure è rimasta per tantissime settimane nella top ten dei titoli più visti in Spagna.
Questo per dire che le dinamiche che si vengono a creare tra le opere e il pubblico spesso non hanno una spiegazione”.
Cosa si augura di trovare nei copioni e nei personaggi che le vengono affidati e cosa le piacerebbe approfondire del mestiere dell’attore in futuro?
“Mi reputo un attore camaleontico ed estremamente versatile.
Il che consente di trasformarmi anche fisicamente nella figura che mi viene affidata e di affrontare registri e generi diversi.
Sono passato dall’interpretare un generale bulgaro in un film ambientato nel 1860 a vestire i panni di un Apostolo.
L’importante per me è trovare personaggi con un universo da esplorare e un arco narrativo stimolante.
Adoro la commedia e mi piacerebbe farne tanta altra nei prossimi anni. Ma un tipo di commedia più di espressione che di parola.
Lo stesso Helsinki de La casa di carta, anche se appartenente ad un genere completamente diverso, parlava poco, non aveva monologhi, però le sue battute erano tutte epiche, lasciavano il segno rimanendo impresse.
Ed è esattamente ciò che cerco e spero di trovare nei copioni e nei ruoli che mi vengono proposti.
Insomma, personaggi che catalizzano e provocano emozioni cangianti, ben caratterizzati, iconici e che quindi restano nella memoria”.
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